autore: Maria Rita Ursitti (LoveKira)
Dell’icona
assoluta dell’arte Pop, Andy Warhol ha rappresentato proprio tutto.
Chi è Andy
Warhol? Un eclettico personaggio dalle parrucche argentate e lustrini colorati,
un fotografo e cineasta, un produttore e promoter di complessi musicali ma è,
soprattutto, uno dei protagonisti indiscussi dell’arte del secolo scorso.
Nato
a Pittsburgh nel 1928 da immigrati ruteni e scomparso
a New York nel 1987, Warhol vive nell’immaginario collettivo di quanti
ne sanno apprezzare l’originale ispirazione e la tagliente ironia, e continua, ancora oggi, a fornire una chiave
di lettura della società contemporanea. Dunque, per ricordalo e celebrare il
suo lavoro, dopo una tappa milanese, Fondazione
Roma ospita fino al 28 settembre nelle sale di Palazzo Cipolla opere
provenienti dalla Brant Foundation: disegni, serigrafie, tele, dipinti, fotografie, autoritratti (Self
Protrait, Green, Self Portrait in Drag, Self Portrait, red on black),
passando attraverso le opere più iconiche come le Electric Chairs (1964),
Blue
Shot Marilyn (1964) e il grande ritratto di Mao (1972). Lavori che testimoniano una storia d’arte
e d’amicizia come quella nata tra l’artista e il giovane collezionista Peter
Brandt; un fortunato incontro che darà vita alla mitica e rivoluzionaria
rivista Interview, fondata da Warhol
e acquistata poi da Brandt alla morte dell’artista.
Nella prima sala ci accolgono divertenti disegni di
scarpe dorate: Shoe (red with blond cherub) del 1958, calzature fantastiche disegnate a blotted-line
su foglia d’oro (la rivista Life gli dedicherà un lungo articolo!), altre
presentate con i nomi di personaggi famosi che rivelano un giovane Warhol affascinato
dal mondo della moda e dei divi di Hollywood.
Soltanto due anni dopo Warhol inizia
una strada del tutto indipendente, divenendo in breve tempo uno degli artisti
più celebri e più espressivi di quegli anni.
I primi dipinti dai colori accesi e i contorni netti
trovano ispirazione nel mondo del fumetto
e della pubblicità: ecco le
immagini Dick Tracy, Mickey Mouse e la Coca-cola lasciare il mondo del consumo
quotidiano ed approdare nelle gallerie d’arte, e ancora fare bella mostra di sè,
le ormai celebri lattine di minestra Campbell’s Sup con le quali l’artista tocca un tasto che
diventerà centrale nel successivo sviluppo della sua ricerca, e rappresentare
solo “very american things”.
“Quel che è grande nell’America è che ha dato
il via all’abitudine per cui un consumatore ricco compra le stesse cose di un
consumatore povero”.
Con
queste parole Warhol rifiuta in blocco l’intero repertorio della tradizione
dell’arte, con tutta la sua stratificazione di significati e concettualismi,
muovendosi unicamente nelle coordinate delle immagini prodotte dalla cultura di
massa americana presa senza commenti espliciti.
L’idea
di fondo, provocatoria pur senza dichiararsi tale, è quella di documentare
l’universo visivo del quotidiano, dove le
immagini pubblicitarie, nate per scorrere e per loro natura “invisibili” nella
loro transitorietà, divengono, attraverso la proposta artistica, “visibili”.
Per ottenere ciò Warhol usa due mezzi: l’amplificazione, un effetto ottenuto attraverso l’isolamento e la
dilatazione dell’immagine, oppure la
ripetizione seriale, dove l’artista riproduce l’immagine per un numero
infinito di volte, con un modus che
ricorda molto quello martellante della pubblicità.
Operando
all´interno del linguaggio dei media di comunicazione di massa, Warhol non
apporta novità, ma ne smonta le componenti e i relativi processi in
un´atmosfera di fredda impassibilità, dove anche le situazioni più tragiche e
violente si presentano raggelate e anestetizzate.
Temi carichi di tensione, come i Car Crash (Incidenti
automobilistici) e Electric Chair
(sedia elettrica) che incontriamo nelle sale successive vengono trattati alla
stregua di un fotogramma di un film, equivalente all’opera the Kiss (Bela Lugosi), del 1964 tratta
dal film Dracula.
Warhol si pone sullo
stesso piano dello spettatore, di colui che nella vita moderna guarda e subisce
la realtà come una finzione, anzi egli stesso
si trasforma in un mezzo di comunicazione di massa. Prima conseguenza, il
rifiuto dell’invenzione e della produzione: nessuna delle immagini di Warhol
sarà esclusivamente opera sua, spesso anche le idee non gli appartengono;
l’artista si limita a trattenere e rifare le immagini prescelte.
Il passo
successivo è l’abbandono delle tecniche pittoriche in favore della fotoserigrafia, in cui
un’immagine fotografica in bianco e nero, fortemente contrastata, viene
trasferita su un telaio di seta in modo tale da stamparla su qualsiasi
superficie piana.
Obiettivo di Warhol non è riprodurre gli
effetti della fotografia, ma mettere in evidenza gli aspetti percettivi e
comunicativi dell’immagine, una sottolineatura, in
fondo, del noto teorema benjaminiano sull'impossibilità di una creazione
artistica originale con l'avvento di tecnologie che offrono la possibilità di
una riproduzione ad infinitum dell'oggetto
di "godimento estetico".
Caratteristica dell’arte di
Warhol diviene la forza del colore. Egli è il primo artista ad usare
sistematicamente l’inchiostro industriale, fotografico e tipografico, come il
rosa industriale dei primi Flowers del 1964 esposti in
mostra. Si tratta di un colore violento nei suoi singoli timbri, equivalenti in
sostanza ai colori della selezione di una diapositiva fotografica: l’effetto è
di un impatto visivo ed emotivo molto forte.
Warhol ha sempre sostenuto di
desiderare un’arte che sia esclusivamente la registrazione della realtà
e di voler anche trasformare se stesso in medium:
il cine-occhio fornitogli della sua prima 16 mm sembra proporsi come ulteriore
passo in questa direzione. Le scelte dell’artista sono fortemente influenzate
dalla notorietà del personaggio: Marilyn infatti viene ritratta come sex symbol da "consumare", con
plateale accentuazione dei tratti tipicamente femminili, il trucco pesante, le
labbra sottolineate dal rossetto, l'espressione ammiccante ed il sorriso
stampato di chi sorride per mestiere, icona del fascino femminile e regina
dell'immaginario americano, di una bellezza stereotipata.
Quando nel 1963 prende in affitto un
vecchio deposito nella 47th E Street, divenuto in seguito famoso come The
Factory, prenderà vita un enorme palcoscenico. Le cronache lo descrivono
mentre si aggira tra i vari personaggi di questo personale circo mosso da un
misto di innocenza e consapevolezza, pronto a stimolare chiunque a dipingere,
fare film, esprimere se stesso in pubblico, ma anche veloce a cogliere le
tensioni del tempo e a carpire stimoli e idee da riutilizzare per la sua
produzione artistica.
Dopo
l’esperienza cinematografica, il ritorno all’arte di Andy Warhol è quasi
esclusivamente concentrato sui ritratti, su commissione e non. Questi ultimi
forse sono divenuti le opere maggiormente rappresentative della sua arte. La
tecnica è sempre la stessa: il ritratto creato parte da una semplice
fototessera (Warhol ne scattava 40, selezionandone poi 4 da cui poi scegliere) con il volto dilatato, ingrandito e messo in
massima evidenza dalla centralità, presentandosi frontale e fluttuante su un
fondo di colore astratto.
Tra il 1980 e il 1982 Warhol realizza anche molti dei suoi celebri autoritratti presenti in una sala di Palazzo Cipolla, dove
non poteva mancare anche unʼOxydation gigantesca del 1978,
ottenuta urinando su pigmenti metallici e provocando una reazione chimica che
sfugge al controllo e crea nuovi colori (altrimenti note come Piss Paintings)
e il celebre ritratto di Jean-Michael Basquiat
del 1982 che ricorda l'inizio dell'amicizia tra i due artisti, mentre una
vastissima galleria di Polaroid
scattate da Warhol riporta alla luce i volti noti dell’epoca, come Liza
Minnelli, Jane Fonda, Joan Collins, Sylvester Stallone, Pelè, Donna Summer,
Truman Capote, Mick Jagger, Jimmy Carter, Yves Saint Laurent.
In sottofondo nell’esposizione non poteva mancare Sunday
Morning, mitica canzone scritta da Lou Reed e John Cale nel novembre del 1966,
traccia principale dell’album Velvet Underground & Nico del gruppo rock
statunitense Velvet Underground. La cover dell’album di debutto del gruppo
raffigurante una banana era stata firmata da Andy Warhol che aveva prodotto lo
stesso album. Un altro esempio del talento poliedrico di un artista dai tanti
volti.
Il volto spettrale di Andy Warhol ci
congeda nelle ultime sale accanto a The Last Supper, una delle straordinarie interpretazioni del Cenacolo
di Leonardo da Vinci, e dietro l'eccentricità e l’originalità dei suoi capelli
sembra volerci comunicare, ancora una volta, i mutamenti
nella consumistica società statunitense della seconda metà del secolo scorso.
L'arte non è elitaria, non è per pochi, ma
appartiene ad ogni essere umano.
“Non ti preoccupare, non c’è niente che
riguarda l’arte che uno non possa capire”.
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